Abbiamo avuto l'esperienza però non il suo senso, La storia è sempre storia contemporanea, cioè politica.
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Questa mappa di Roma si inscrive all'interno di una serie di lavori – alcuni già realizzati, altri in corso - iniziati negli ultimi anni, dal 1998, in diverse città e in collaborazione con gruppi di artisti, residenti, militanti di associazioni cittadine, studenti e chiunque si sia interessato al recupero della memoria storica e all'elaborazione di proposte di rilettura di determinati episodi o aspetti esclusi e relegati dalla Storia ufficiale. Da una megalopoli come Sao Paulo (2002), alle città operaie della periferia di Barcellona, come l'Hospitalet (1998) e Mollet del Vallés (2001), o Nerja (2004), una piccola località costiera vicino Malaga, radicalmente trasformata dal turismo, o Lima (2002), città scenario di una guerra interna per più di dieci anni e molte altre, abbiamo proposto alcuni percorsi lungo i margini, i limiti e le facce occulte e frammentate dell'immagine del luogo. Dalla storia dei movimenti “migratori” legati alle diverse trasformazioni economiche, alle conseguenze di questi processi: l'arricchimento dei vincitori, la repressione della cultura dei vinti e la risposta di adattamento di questi per la sopravvivenza. Questi progetti si caratterizzano, dunque, per la loro attenzione alla specificità di un luogo, ma anche di un'epoca concreta, in particolare quella del periodo storico compreso tra gli anni Trenta del sec XX e oggi. La proposta di lavorare su una “narrazione altra” non vuole sostituire un oggetto di studio, ma anche e soprattutto seminare dubbi, minando il potere di una voce unica e autoritaria, proponendo un testo polifonico, dialogico, che non rifugga dalle contraddizioni, ma che al contrario le evidenzi. Da una parte costruire, dunque, un assemblage di citazioni (visive e verbali, letterarie e pubblicitarie, de canzoni popolari o frasi fatte) per attivare delle prospettive divergenti, per tessere una rete di sguardi, di narrazioni che, allo stesso tempo, gettino luce sulle questioni tralasciate, disprezzate o nascoste dalla narrazione autorizzata. Dall'altra oscurare, contrastare quelle immagini tanto visibili da cancellare la possibilità di interpretare ciò che rappresentano nella loro complessità: icone potenti come monumenti, che in prima istanza celebrano chi ha il potere di monumentalizzare, di scegliere cosa ricordare, monumenti al “potere di narrare”. Bisogna, quindi, considerare le assenze, le dimenticanze, le ellissi, come un “archivio delle intenzioni inespresse”: la narrazione corale, non escludendo la possibiltà dell'autoironia, mette in questione la propria voce per esprimere l'intenzione di fare ed essere allo stesso tempo un poema e un saggio su sè stessi.
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Roma | |
Il viaggiatore di fronte a Roma [...] teme che passi ad ampliare la lunga lista europea
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Città turistica già prima dell'esistenza del termine o addirittura della stessa idea di “turismo” – e prima che questa divenisse la prima industria del mondo – Roma e l'immagine o la serie di immagini che il nome di questa città ci porta automaticamente alla mente: la Fontana di Trevi, il Colosseo, San Pietro in Vaticano, Pantheon, Castel Sant'Angelo, Piazza Navona, Piazza Venezia, le Terme di Caracalla o Diocleziano, il Circo Massimo, i Fori… Tutto questo è frutto di un'elaborata costruzione storica in cui questa serie di luoghi sono stati selezionati con cura dalla storia ufficiale di quei gruppi che detengono il potere, o meglio, i poteri, e tra questi, il potere di narrare, di costruire un'immagine mitica, unificata e tautologica. In questa storia ripulita da traumi e conflitti si costruisce il circuito, la sequenza di fili, anche appiattita, senza scossoni, continua e coerente, voluta dall'industria turistica: un percorso, a prima vista unico e irripetibile, eccezionale, esotico, ma allo stesso tempo chiaro, immediatamente leggibile, intercambiabile con quello di un altro (non)luogo, come la pianificazione e la segnalazione di un centro commerciale o di un aereoporto. Tuttavia, mentre percorriamo questo itinerario, stiamo continuamente attraversando una terra incognita, territori senza mappa, senza legenda, come un testo che non sappiamo interpretare o di cui neanche ci accorgiamo: spazi fugaci, temporanei, marginali, che hanno bisogno di altre cartografie per farsi visibili, per farsi leggibili. É negli elementi lasciati da parte - che non sono stati scelti per formare la panoplia degli emblemi dell'identità del luogo o dell'epoca - e nell'additare ciò che è stato escluso e negato, che s'incontrano quelle fonti che rivelano più dati, dal momento che ciò di cui (non) parlano (in silenzio, in sordina) sono le paure e le ossessioni di una comunità, che nasconde proprio tutto quello che teme possa danneggiare la perfezione della sua immagine ideale, come universo senza contraddizioni, come un territorio pacifico. É da questi vuoti, da queste desolazioni, da questa waste land che vogliamo partire per rintracciare delle mappe a cui dare la parola, per far parlare il luogo e portarlo al centro della discussione, per ri-socializzare la narratività della città.
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Millenoveccentosettantasette | |
Così come il maggio francese adesso va valutato come una malinconica operetta epica sulle insufficienze della lotta di classe, altri maggi come (...) quello italiano lasciarono negli interstizi del tempo cadaveri e vuoti che si prolungarono fino alla decade degli '80, già a pochi passi dalla vittoria capitalista di una guerra che non fu del tutto fredda Manuel Vázquez Montalbán |
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Al momento di definire l'arco di tempo su cui lavorare, abbiamo preso come centro e asse del nostro discorso il 1977, per poi, da lì (da allora ), mettere a fuoco, proiettare e leggere sia il passato immediato sia gli anni successivi. Gli anni Settanta non sono in nessun caso un territorio neutrale, ma al contrario, sono lo scenario di una vera e propria mutazione politica della società italiana, un punto di non ritorno, una zona scomoda, refrattaria ad operazioni di semplificazione e impacchettamento , che ritorna, come tutto ciò che è stato represso, quando non lo si chiama e non ce lo si aspetta. Presenza più che scura, oscurata, catalogo di errori e sconfitte, però permanentemente latente come il culmine di un ciclo e campo di sperimentazione dell'attraversamento della frontiera tra la riflessione teorica e l'azione creatrice. Banco di prova di pratiche antiegemoniche che anticipano il divenire di discorsi e di attitudini: la resistenza alla logica esclusiva che separa ciò che è intellettuale da ciò che è sensibile, l'urgenza del fatto che l'umanità arrivi a controllare la tecnologia, il riconoscimento del potere creativo del desiderio come motore di azione e di pensiero, il fatto che la felicità può unicamente realizzarsi nella sua dimensione pubblica, comune e condivisa, la consapevolezza del carattere trasversale, linguistico e politico della nostra natura – poichè non è immaginabile una società senza linguaggio, come neanche, al contrario, un linguaggio senza società – e in cui si cominciò a sospettare che essere poeta poteva essere la forma più radicale di essere politico. Per raccontare tutto ciò bisogna sperimentare dei modi di narrazione non autoritaria, ma polifonici, aperti, multipli, esplorare vie d'approssimazione a delle conoscenze normalmente sottovalutate, agli interstizi, alle parti esterne, per accudire le memorie particolari di fronte alla Storia e minare la sua supposta linearità: sbozzare un discorso poliedrico che raccolga le assenze, le dimenticanze, i vuoti, quello che non c'è, senza abbandonarsi alla triste passione autoindulgente della nostalgia, dove tutto si appiattisce e si rende indistinto e dove tutto vale lo stesso e niente merita più di essere né celebrato né condannato. Bisogna dunque diffidare e denunciare la capacità neutralizzatrice della “macchina dello spettacolo” che influenza la logica delle commemorazioni e degli anniversari, e che ci si offre oggi sottoforma di un'amalgama indistinguibile di mistificazione e di banalità. L' istituzionalizazzione della memoria effettuata dall'industria culturale - che la ripropone sotto forma di eventi ciclici, ideati per lo sfruttamento mediatico e il turismo culturale - nasconde più che rivelare, ci invita ad archiviare i fatti del passato in modo tale da renderli indecifrabili, presentandoli come qualcosa di unico e irrepetibile e oramai lontano. Questo uso della memoria non è che un meccanismo di controllo che, attraverso le celebrazioni spettacolari – omaggi, convegni, commemorazioni, monumenti…- rende impossibile ogni discorso che metta in questione le versioni canoniche costruite dai gestori autorizzati, cioè dagli storici e dai media. In questo senso la spettacolarizzazione della memoria non serve di solito ad altro che come alibi per la legittimazione dell'ordine presente. Viviamo in un momento nel quale ci sono evidenti difficoltà nel ripensare storicamente noi stessi, dove termini come “speranza” o “illusione” ci arrivano caricati di un cinismo secondo il quale niente può essere modificato e qualsiasi tentativo di alterare l'ordine non sfocia che in un ulteriore dolore – quando la frustrante percezione del presente appare definitivamente come una successione di fatti sconnessi ed effimeri. Prigioneri della percezione della nostra condizione post-storica, si direbbe che abbiamo perso la capacità di trovare un senso al futuro. Esiste un'espressione, sinonimo di ricordare, che è fare memoria , che sottolinea il carattere artificiale, artificioso, della memoria che si fa, si esercita, si costruisce per permetterci di capire tanto ciò che è successo quanto la sua relazione con quello che succede adesso. Solo così possiamo riuscire ad essere capaci di immaginare in qualche modo ciò che verrà. L'ultima sezione intitolata Il coraggio di guardare, il coraggio di chiudere , nella serie di interviste di Carla Mosca e Rossana Rossanda a Mario Moretti, che compongono il volume Brigate Rosse (1998), si chiude con questa domanda e questa risposta: -Ciò che chiamavate Stato correva dietro di voi, mentre cresceva la mafia e dietro la mafia prosperava Tangentopoli; sempre dietro un nemico. Ascolta, sei fuori dal mondo della gente da ventidue anni, nove da clandestino e tredici in prigione. Fino ad ora hai avuto carcere e distruzione della memoria. Se un angelo cattivo ti offrisse su un piatto libertà e oblio, e su un altro carcere e memoria, che cosa prenderesti? -Non esistono angeli cosí perfidi, solo gli uomini propongono due modi ugualmente crudeli di morire. Comunque gli direi: dammi libertà e memoria. Se non sei capace di tanto, mio caro angelo, allora voli basso, neanche all'altezza della nostra sconfitta.
Rogelio Lopez Cuenca |