A lenire la lacerazione della Democrazia Cristiana, interviene Paolo VI: qualche ora prima che scada l'ultimatum delle Brigate rosse e con una lettera che la radio vaticana diffonde e i giornali riproducono in autografo l'indomani. Lettera che sembra di alto sentire cristiano: solo che vi si cela, nell'esortazione agli uomini delle Brigate a liberare Moro “semplicemente, senza condizioni “, una specie di confermazione – e sarebbe da dire tout court cresima – della Democrazia Cristiana in quella sua dichiarata “indefettibile fedeltà allo Stato”.

Nella “prigione del popolo”, a Moro non sfugge quel che alla generalità degli italiani, commossi dall'inginocchiarsi del papa davanti ai brigatisti, non appare: che Paolo VI ha più ‘senso dello Stato di quanto abbia dimostrato di averne il principe Poniatowsky, ministro degli Interni dello Stato francese, che in tempi non lontani aveva dichiarato ammissibile il principio di trattare coi terroristi per evitare il sacrificio “della vita umana innocente”.

(da: Leonardo Sciascia, L'affaire Moro, Sellerio editore, Palermo, 1978)

 

 

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