-«La sera dopo, 26 agosto[…] c’era la prima maratona, il ciclo de “Il pianeta delle scimmie”[…] Trovai a fatica un posto a sedere su una panca nel fondo. Accanto a me, a destra un gruppo di ragazzi si passavano uno spinello; e a sinistra, una di quelle “tipiche” famiglie romane che si pensa non esistano più, arrivata con plaid, nonni, ragazzini, pentole di pasta, sfilatini con la frittata e fiaschi di vino. I due gruppi convivevano tranquillamente, senza troppa curiosità». (Renato Nicolini, Estate Romana. 1976-85: un effimero lungo nove anni, Siena, Edizioni Sisifo, 1991, p. 71)

L’ Estate Romana entra nella coscienza comune nella forma del “Nicolini, facci divertire!” o della “città che esce di nuovo la sera”.

«Più che le intenzioni di arrestare la smobilitazione della fine degli anni Settanta, di superare la frattura tra forze politiche e parti della società civile che si produsse nel 1977, il contesto a cui mi riferisco è un’idea di città. Un’idea di città che non teme Babele, la confusione della grande città moderna, la sua irriducibilità all’organicità perduta della polis: e che sa ritrovare, dentro Babele, i fili della città, dello scambio culturale e della ricerca. Una città che non solo non teme la cultura americana, la cultura popolare italiana, il ballo, i mass media e il divertimento spensierato ma li ricerca e li incentiva: nella circolazione e nella confusione delle idee; questi sono elementi vivi e vitali, non scorie da espellere». (Renato Nicolini, L’architettura dell’immateriale, in AA.VV., Massenzio ’77-’97. Tendenze urbane, Roma, Castelvecchi, 1997, p. 35)

>>