Rivedendo il rapporto tra femminismo e sistema politico degli anni Settanta, si distinguono allora due tempi. Nel primo, che va dagli inizi del decennio fino all'incirca al 1976, la crisi del sistema dei partiti apre spazio politico ai movimenti sociali, arrivando addirittura a favorire la mobilitazione politica di ampi gruppi sociali. Il femminismo registra i segni di una situazione che sembra naturalmente incoraggiare la politicizzazione della società civile. Nella seconda fase emerge il primato della politica tradizionalmente intesa. I movimenti sociali si vedono chiudere lo spazio politico, e la dinamica fra partiti e società civile sembra ridursi alla mediazione delle domande provenienti dai gruppi di interesse ed alla gestione del territorio. In realtà il movimento dei giovani del ‘77 evidenziachiaramente che le istanze della società civile non si lasciano facilmente né riassorbire néemarginare. Ma è soprattutto il femminismo che riesce a vivere con i tempi della politica; cambianole forme e le sedi di aggregazione, mutano i termini dei discorsi, ma la problematica dell'identità e del rapporto fra sesso, genere e potere continua ad alimentare una vasta rete culturale. La longevità del femminismo si deve allora alla specificità delle sue motivazioni. Ma si deve anche, mi pare, a quel carattere ambiguo che gli permette di far convivere l'emancipazione e la sua critica, la pratica istituzionale e l'anti-istituzionalismo. Direi che il femminismo ritematizza continuamente il rapporto tra sesso e genere, e mentre da un lato valorizza la specificità dell'altro riformula l'emancipazione come tappa della liberazione umana. Tra sesso e genere, di Yasmine Ergas, in “Memoria, rivista di storia delle donne”, 1987.
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