Si attribuisce al movimento femminista degli anni Settanta un ruolo molto importante nella propagazione del desiderio di desoggettivazione e di ricerca di una parola differente così come di una presenza più anonima, meno gerarchicamente definita nelle relazioni. Il ramo più avanzato del movimento femminista – che aveva sicuramente una coscienza acuta della natura biopolitica del potere – esaltava per questo la delegificazione. Queste donne, nel bel mezzo delle lotte per la legalizzazione dell'aborto, la penalizzazione dello stupro, l'applicazione della politica delle quote, domandavano il silenzio della legge sui loro destini e sui loro corpi, che da sempre erano stati assegnati al dominio della phoné , della lingua immorale delle emozioni. Una delle loro parole d'ordine era “non credere di avere dei diritti”, che vuol dire: non credere di essere inclusa nel dispositivo che fino a ieri ti ha rigettato senza che la frattura biopolitica ti attraversi da parte a parte.
Fulvia Carnevale, La plebe o lo straniero interiore , in “Antasofia 4”, Play. Cronache dall'epoca del trionfo dello spettacolo, Mimesis, Milano 2005.