LA FINZIONE DEL PASSATO E IL GIOCO SAPIENTE DELLA STORIA

Mentre parlano della storia essi si situano sempre nella storia
Michel de Certeau

Cari Silvia, Luisa, Franco e Tito*,

mi rendo conto che prima dell'incontro di domani   avreste voluto vedere tutti i materiali. Come sempre fino all'ultimo si lavora e la mappa sarà in linea nelle parti che abbiamo deciso di realizzare per questa prima presentazione al MACRO, (che gentilmente ci ha reso disponibili i propri spazi), proprio il 21 giugno.

Il 17 ottobre saremo invece alla Galleria Nazionale d'Arte Moderna, per una intera giornata dedicata a questo progetto. Per quella data tutto sarà definito e probabilmente avremo anche il libro del progetto.

Quindi arrivo in aiuto per capire un po' di più di questo complesso progetto.

Prima di tutto le difficoltà: un lavoro su Roma 77, su un periodo così complesso della storia romana e italiana, ha voluto dire una grande ricerca. E' circa un anno che materiali, interviste, documenti si accumulano. Tutto il gruppo di giovani artisti e studiosi che ha partecipato al progetto e che ha seguito Rogelio, ha lavorato realmente: emeroteche, archivi, giri per la città, interviste, fotografie e piccoli video a partire dall'oggi.   Quando tuttavia   siamo arrivati a dover decidere come questi materiali sarebbero stati mostrati, i problemi sono venuti fuori con grande evidenza. Eravamo abbastanza sicuri dell'idea di una mappa nel web. Ma come inserire i luoghi, come non essere retorici, come non ripetere la sequenzialità “rappresentativa” dei fatti e delle immagini, come muoverci in quella storia per pensare un' altra storia ? L'altra storia non doveva essere il racconto di altri fatti o degli stessi fatti accaduti in un altro modo.   I fatti intorno ai quali cercavamo i materiali, le informazioni, erano tutti assolutamente importanti e segni evidenti di un periodo di grande contraddizione politica, sociale, culturale. Capivamo inoltre che per comprendere meglio un singolo fatto dovevamo spostarci da quell'anno. Il '77 era soltanto un punto culminante di una tensione molto più ampia, per seguire le tracce della quale dovevamo andare al 1972, al 1975 o in epoche successive: agli anni Ottanta ma anche, per stabilire confronti e ricercare le conseguenze o gli effetti, fino ad oggi. L' altra storia era dunque forse possibile rimettendo in gioco le trasversalità, il presente e gli effetti del passato, l'interazione di più punti di vista, tutti tuttavia collocati nell'oggi, il rinunciare al riposizionarsi allora per ricordare “come erano cose e fatti” , tralasciando cosa e come sono ora? L'altra storia poteva nascere da uno sguardo collettivo, stratificato, proveniente da esperienze diverse anche se tutte protese verso la ridefinzione di soggettività, di contesti, di analisi delle “storie” possibili.

Abbiamo voluto dunque, in questo Seminario e con Rogelio (che era arrivato a Roma con l'idea precisa di occuparsi di quel periodo esemplare della storia della città)     fare un lavoro sulla storia , abbiamo lavorato con la storia (questo aspetto cercherò di affrontarlo io stessa): la storia usata come un materiale, così come un artista potrebbe lavorare con un altro materiale qualsiasi. Era possibile un lavoro di questo tipo? Se è vero che l'arte ha oramai lavorato con qualsiasi tipo di materiale (materiali artistici più propriamente, materiali naturali, oggetti trovati, pensieri, concetti, luoghi qualsiasi, vita di ogni giorno, parola e forme del dialogo), attraverso le tecniche più diverse (montaggio, assemblaggio, prelievo, appropriazione, spostamento, citazione, copia, riproducibilità), se è vero che la sperimentazione ha portato a una sempre maggiore smaterializzazione dell'oggetto ma anche ad una progressiva rimaterializzazione linguistica che ancora oggi è evidente (anche se l' oggetto reclama nuove vie per rientrare nel campo della produzione e dell'esposizione), la storia è senza dubbio un terreno complesso. E' come lavorare con l'archeologia, con gli strati del tempo che permangono, con la memoria, con i segni-immagini che cercano di restituire aspetti di determinati periodi, oramai appartenenti a un passato più o meno lontano. I fatti, le date, le contraddizioni, i significati profondi che i fatti contengono o di cui presentano l'evidenza, sono stati perciò   il "materiale" di questo progetto. Inoltre, un artista spagnolo e un gruppo di giovani che certamente non hanno   vissuto direttamente il ‘77 era   senza dubbio un aspetto da considerare anche per le conseguenze che “l'essere stranieri” o comunque non legati da alcun collegamento reale,   può portare. Alcuni fatti erano comunque assai difficili da trattare. Le questioni   della donna, del femminismo, del lavoro e delle sue trasformazioni, della casa , delle stragi di stato o delle manifestazioni incutevano una certa perplessità: potevamo recuperare la loro essenziale fisionomia ma questo avrebbe condotto e in diverso modo, in vicoli ciechi, perché le testimonianze, i materiali che si sono intorno ai fatti raccolti, sono tanti e cercare tutto o gli aspetti più importanti costringeva a scelte, selezione, scarti. Ma da quale punto di vista sarebbe ciò avvenuto? Per rispondere a questa domanda la questione si è spostata dalla ricerca di essenzialità e fisionomia (la ricerca dell'identità di quei fatti) alla loro funzione , a quanto hanno disseminato e prodotto, a quanto di essi ancora permane nell'oggi. Ci sembrava diverso, e man mano questa si è rivelata una riflessione fondamentale, considerare come avessero agito i fatti, cosa avessero prodotto, come avessero funzionato nel contesto di allora e cosa avessero trasferito negli anni successivi. Cosa resta oggi di quel periodo? La domanda era complessa e la risposta ancora di più. Ma un fatto ci sembrava evidente: quello che sembrava fosse terminato o concluso con quella data in realtà forse lo era solo nei modi di agire e presentarsi. Dal 1977 i movimenti politici, di denuncia forse non sono stati più i protagonisti della città, delle strade, di una ridefinizione del tessuto urbano. Il movimento di denuncia,   di affermazione creativa, attivo nella costruzione di nuove forme di soggettività individuali e collettive, si è da allora disseminato, articolato in molteplici direzioni. Nell'epoca della smaterializzazione anche il movimento si è disperso in altre situazioni, virtualmente convergenti, tuttavia presenti, da allora, non soltanto nella sfera urbana ma a livello macroscopico globale. Ricordo quando dopo la morte di Giorgiana Masi, le manifestazioni sarebbero state possibili soltanto con la definizione di giorni, ore, luoghi da attraversare. Il presidio della polizia sarebbe stato anch'esso così più facilmente disposto lungo le vie precedentemente accordate per le manifestazioni. Fu allora chiaro che quanto aveva spinto i giovani di allora e i meno giovani a occupare strade, piazze, ipotesi e concetti cambiò radicalmente le forme di azione.   Da una parte si concentravano in azioni politiche e sociali più definite, da un'altra venivano riassorbite in situazioni più stabili, dall'altra, ancora, si disseminavano in altre iniziative. La smaterializzazione dei movimenti politici di quegli anni produceva diverse forme di aggregazione e socializzazione, i cui risultati ancora oggi sono evidenti. Ma questa breve riflessione non è certo esaustiva né conclusiva di alcunché. Una convinzione è che la riflessione debba essere plurale, intersoggettiva, che debba riguardare diversi strati del coinvolgimento. Per questo un'idea forte del Seminario è stata quella di partire dai canali minori dell'informazione, dalle “seconde pagine” dei giornali, da quanto trasmettevano altri media e da altre   forme della comunicazione e anche dello spettacolo (la televisione, il cinema, la canzone popolare, lo sporto, fino al progetto di forme complesse del divertimento collettivo come l'Estate romana) per capire come si sono continuate a muovere le “folle” come   e dove si sono incanalate, dove sono andate altre situazioni di socializzazione, incontro, dibattito. I flussi di gente, di pubblico, di persone continuavano a riempire e agire la città. Lo spazio pubblico era davvero coinvolto e i progetti artistici, culturali, non sono mancati. Ma gli anni Ottanta raggelavano un po' questo entusiasmo e questa forte spinta culturale (perché di cultura si tratta e non di eversione o pura mania distruttiva giovanile); da una parte è sembrato che un'epoca di reazione a tutto quanto era stato più performativo, agito, antispettacolo, fosse un po' marginalizzato da un forte bisogno di ridefinizione, di ripristino di vecchie identità, di salti indietro verso qualcosa di più sicuro e preciso. Tutto dovrebbe, come ci rendiamo ben conto, essere riconsiderato, ripensato, e soprattutto visto da un punto di vista ben collocato nel presente, nell'oggi, ovvero nel punto preciso da dove parte per molti la necessità di ripensare questa nostra epoca, anche alla luce di quanto successo in una prospettiva storica più articolata.  

Abbiamo voluto lavorare dunque sulla storia ma soprattutto per mettere in  evidenza il meccanismo che solitamente costruisce e scrive la storia: un fatto, la sua definizione, la sua monumentalizzazione o riduzione a icona, la sintesi che quel fatto pian piano non più significa ma rappresenta, perdendo nel tempo molta della complessità che lo aveva legato all'epoca, al contesto sociale e culturale, e divenendo fatto esemplare, punto di riconoscibilità, "rappresentazione" di un determinato periodo storico. Inoltre la storia nomina, definisce, colloca. All'inizio del libro La scrittura della storia , (1975), Michel de Certeau inserisce un'immagine che da sola basterebbe a spiegare questo meccanismo: L'esploratore (A.Vespucci) davanti all'indiana che si chiama America (Jan Van der Straet, 1619). Si vede un signore vestito, in piedi che arriva dal mare; davanti a lui, su un'amaca, c'è una donna nuda   “presenza innominata della differenza” (dice de Certeau). Il conquistatore si appresterà “a scrivere il corpo dell'altro e a tracciarvi la propria storia”. La donna sarà da allora l'America “latina”.   Cosa ha a che fare dunque questo episodio della storia con il progetto su Roma e con un lavoro sulla storia? Questa riduzione, questo meccanismo li abbiamo notati anche nelle modalità con cui in questi trent'anni si è taciuto o si è riparlato del 77 (quest'anno, che è proprio la data dei trenta anni naturalmente se ne è riparlato, ma come, per ricordare cosa?). Non ci interessava schierarci, riportare soltanto a galla alcune questioni proprie di quegli anni. Piuttosto si voleva lavorare sul doppio registro della storia e della sua riconoscibilità oltre l'esemplarità dei fatti e soprattutto per considerare cosa “resta” di alcuni fatti, momenti cruciali di una storia italiana,   punto di arrivo e punto di rottura tra gli anni fino al '77 e quello che dopo sarebbe avvenuto.   Non per negarli o per sottovalutarne l'importanza ma per riflettere su come alcune immagini esemplari di quegli anni (il poliziotto in borghese, Giorgiana Masi, il viso di Moro, la morte di Pasolini) siano divenute icone vuote che anziché riportare ai fatti o alle radici di qualcosa di importante allora avvenuto, diventano invece apparenze che parlano sinteticamente di morte e terrorismo (il giovane in strada con la P38 e la morte di Moro nella Renault 4), di violenza e rabbia, come se il messaggio unico che oggi giorno superficialmente arriva è che certi comportamenti (violenza, rabbia, lotta) portano soltanto alla morte o al pericolo.

Cercheremo di approfondire meglio tutto questo.

Altro aspetto era come mettere dunque questi materiali   reperiti. Abbiamo pensato a una mappa che per sua natura riporta tutto sulla orizzontalità, elimina la prospettiva, riporta sulla superficie i numerosi strati che fanno la storia.

Quindi una mappa che come avete visto si presenta all'inizio come una pagina bianca. Anche questo è frutto di una riflessione e c'è un concetto alla base. La città, la sfera pubblica o tutto quello che si pensa, ricorda, conosce, di cui si è informati ci ha interessato più per capire come si forma la sfera pubblica, come si costruiscono opinione e senso comune, più che come essa è. Non c'è la sfera pubblica:   ci sono le regole della sua formazione. Quindi all'inizio la “città” non c'è. La costruisce chi si muove al suo interno, chi cerca percorsi o itinerari. Il movimento che genera i luoghi allude inoltre al movimento stesso, politico, creativo, fortemente critico, che in quegli anni agiva direttamente nello spazio metropolitano, producendo al suo interno rivolgimenti, rotture, fatti che ancora non possono essere dimenticati. Anche la città in realtà, in questa mappa, non c'è poiché non è un dato acquisto, stabile: è l'azione al suo interno che genera sfera pubblica, opinione, senso comune, appartenenza, prossimità. La città   e l'atto performativo che la genera sono due elementi fondamentali di questa mappa. Tra l'altro anche la   scelta di dire www.mappadiroma.it vuol ironizzare o comunque inserire questo progetto in una possibile ricerca di mappe o notizie di Roma che ogni turista o persona qualsiasi potrebbe fare sul web. Si cerca una mappa di Roma e viene questa nostra mappa, con la differenza che al posto di monumenti, luoghi e altro vengono fuori questi fatti e una storia della città.

Muovendosi dunque sulla pagina bianca, si costruisce la città, anzi ognuno costruisce questa città fatta di luoghi sensibili, che contengono memoria, testimonianza, documenti.

Come allora potevamo riportare questi materiali?   Altra idea è stata quella di ridurli a pagine o di solo testo o di sole immagini. Se avessimo (come avevamo fatto all'inizio ma non era convincente) riportato in una sequenzialità di testo e immagine i materiali, avremmo riproposto la solita modalità di immagini e testi descrittivi e ci saremmo anche trovati dinanzi al problema della scelta dei materiali. Poteva sembrare che i testi riportati fossero   quelli che consideravamo più importanti e ancor di più che il primo testo e via via gli altri dovessero comunicare qualche gerarchia o ordine di importanza delle informazioni. Per ovviare a questo si è allora deciso di uniformare, ridurre, riportare i testi uno di seguito all'altro, di riportare le immagini una dopo l'altra, di far aprire le pagine secondo un principio che facesse venire fuori gli strati dell'informazione: quasi un andamento concentrico, a spirale, che produce deriva. Tuttavia pian piano si costruiva un punto di vista, orientato a cercare nei fatti quello che sollecitava, che incuriosiva, quello che non era del tutto chiaro.

Così si è cercato di restituire una piattaforma di informazione su cui continueremo a inserire materiali, testimonianze, immagini. Quindi è importante ricordare il carattere in progress di questo progetto e che domani presentiamo le idee e le riflessioni da cui è partito. La presentazione di domani tra l'altro non vedrà tutti i punti della città pieni, perché non ce l'abbiamo fatta e abbiamo deciso intanto di lavorare su alcuni luoghi, per dare una dimostrazione.

Intanto vi mando queste affrettate riflessioni. Ci sarebbe molto ancora da aggiungere. Lo faremo domani e anche in seguito, mentre cercheremo di terminare la mappa e le riflessioni che l'hanno accompagnata.

Saluti cari a tutti.

Roma 20 giugno 2007

Carla Subrizi

* Questa lettera è stata inviata a Silvia Bordini, Luisa Valeriani, Tito Marci e Franco Speroni   in previsione della loro partecipazione e discussione alla presentazione del progetto realizzato all'interno del IV Seminario di Ricerca e Formazione della Fondazione Baruchello  www.mappadiroma.it presso il MACRO, il 21 giugno 2007. Il tono confidenziale e amichevole della lettera è stato lasciato inalterato. La lettera si indirizza tuttavia   a tutti coloro che vogliano conoscere in cosa è consistito e attraverso quali riflessioni si è sviluppato   il progetto.